Dal Medioevo ad oggi, con i suoi 800 km, il cammino di Santiago de Compostela continua ad essere la meta più frequentata dai pellegrini di tutto il mondo. Sono milioni le persone che annualmente si recano nella città per visitare la tomba di Giacomo il Maggiore, il più fedele degli apostoli di Gesù, che nella tradizione popolare ispanica rappresenta la figura del Matamoros, alfiere soprannaturale, intercessore vessillo della ribellione della Spagna al dominio islamico.
Una meta che viene percorsa senza sosta dal IX secolo, quando risale il ritrovamento della tomba del Santo. Leggenda narra che la tomba fu ritrovata grazie all’apparizione di una stella sul colle Libredon, che indicò ad un paio di eremiti il luogo da raggiungere, e dove vennero in seguito rinvenute le reliquie del santo. Da cui deriva il nome della città: Santiago de Compostela.
Da antico a moderno il passo è breve, e se fino al 1987 – anno in cui il Consiglio d’Europa lo ha dichiarato come patrimonio dell’umanità dall’Unesco – Santiago era frequentato da credenti fedeli che affrontavano il cammino spinti da motivi spirituali, oggi sono molte le persone che lo visitano anche solo per interesse culturale o per semplice curiosità. In questo senso può definirsi un pellegrinaggio moderno.
Vi è incertezza, se non quasi una aurea di mistero su quello che dovrebbe rappresentare oggi il cammino di Santiago. C’è chi decide di affrontare il viaggio per la sua storia, chi per ritrovare la propria spiritualità, chi per allontanarsi dallo stress. Ognuno vive la propria esperienza in modo soggettivo, ognuno ha il suo modo per ritrovare se stesso. E questo cammino insegna che la meta non è mai la fine, perché c’è sempre qualcosa da scoprire. Un messaggio di speranza che traspare anche dalle parole che compongono il saluto dei pellegrini che da secoli si scambiano lungo le strade che conducono al Santo: Ultreya y suseya “più avanti e più in alto”.
Testo di Maria Carmela Di Marte
Foto Francesco Visca
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