Tof, tof.

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2020-06-10 | 09:30h
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2020-08-24 | 14:13h
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Tof, tof.
Non si parla solo di una storia bellissima, di un Paese inquieto come il respiro di Zefiro. Si parla di vita e la vita è fatta di piccoli passi. Non si può vivere, ci ammonisce, Criaco, di nodi irrisolti. Non viviamo, pertanto, aggrovigliati.


La sento, ancora. Tof, tof. Un’altra sequenza di passi, su, per le scalette della libreria. Alcuni piedi solleticano gli scalini, altri, invece, affondano tutto il loro peso, come se scavassero, nella sabbia. Falange di libri, posti a soldato, intorno a una cripta dove si scorgono le sedie degli ospiti, un tavolino e, al di là, le sedute dei relatori. C’è un’atmosfera sacrale, eppure, nel contempo, intima e preziosa. I libri zampillano dagli scaffali come i fiori a primavera. Sono folgoranti nei loro titoli ad effetto. In giro, un tripudio di colori. Più che una libreria sembra una voliera di farfalle orientali. In un momento, il microfono irrompe la mia perlustrazione visiva e prende voce. Al di là del tavolo che separa chi parla da chi ascolta, l’autore. Ha nello sguardo Zefiro, il vento della sua Africo. Nei lineamenti del volto la tensione della sua Terra. Il piano del tavolo separa due mondi. Al di sopra, quello del busto, emozionato, contratto, intenso. Al di sotto, quello delle gambe, intrecciate, in mistica preghiera, in raccoglimento protettivo. La titolare della casa dei libri introduce i lavori. Saluti di rito, ringraziamenti copiosi, emozione, di quella pura che dispiega vibrazioni. Si respira un profumo di buono. Siamo persone che vogliono raccontarsi ascoltando il racconto di chi ci capisce perché ha vissuto i nostri luoghi, i nostri sentimenti, le nostre paure. Osmosi. Ecco, la magia della condivisione. Tocca alla moderatrice che libera stelle filanti legando, tra loro, gli interventi. Criaco racconta un mondo che gli pulsa ancora nelle vene, sotto pelle, là, in quei vasi, dove l’ossigeno si irradia. Ogni relatore regala una nuova storia nel momento in cui racconta la sua Epifania con la Maligredi. Il lettore la riscrive, quando la legge. E arranchiamo nella foresta delle storie che coloro che prendono la parola ci donano. Ogni storia tocca il volto come un fiocco di neve. Tof Tof.

Salgono, ancora, coppie di passi. La cripta brulica di persone. Cresce una nebbia umana, quasi un tepore. Fuori, la vita scorre. Dentro, invece, il tempo si ferma. E nei cuori ricalchiamo le vite nella vita. Criaco ci racconta delle donne gelsomino, le mamme che raccolgono il profumo delle piante alla notte, quando il fiore può esser colto e all’alba ritornano nelle cucine come se si fossero appena svegliate per preparar la colazione. Hanno sulla pelle l’odore dei fiori, nei capelli, sotto le ascelle. E anche il loro sudore, quello intriso di fatica e sacrificio, sa di gelsomino. C’è il ’68 ad Africo. I ragazzi tirano il freno dei treni quando passano per quel paese senza stazione, per urlare “Io esisto”. Sento i miei simili contorcersi sulle sedie destinate al pubblico, immaginando i chiarori dell’aurora sui volti delle donne africote. C’è chi allontana lo sguardo pensando alla propria di mamma, chi, ancora, sogna di diventar genitore presto. Vedi le luci perlate dei raggi del sole acerbo. E anche i libri appesi sugli scaffali si emozionano. Lo scrittore è un Omero moderno. Ci canta le storie di un Paese che è nostro, ma non c’appartiene. E ci svela il segreto del suo pargolo letterario: il filo rosso da cercarsi nella sequenza di parole nere cullate dalle pagine ingiallite è il rapporto tra Nicola e Nichino, il pezzo di cuore, come lo riconosce la mamma. Tof, tof. Salgono ancora. I passi. Gente chiama gente. O, forse, è il magnetismo del pifferaio magico scrittore che ammalia gli avventori della libreria che, improvvisamente, si accumulano nella cripta, su. Siamo in tanti, poi, in tanti altri ancora. E sentiamo la storia di un uomo che decide di diventare scrittore perché la vita l’ha messo in un angolo e non ha avuto altra alternativa che vivere. Tof, tof. Salite, salite ancora passi. Non si parla solo di una storia bellissima, di un Paese inquieto come il respiro di Zefiro. Si parla di vita e la vita è fatta di piccoli passi. Non si può vivere, ci ammonisce, Criaco, di nodi irrisolti. Non viviamo, pertanto, aggrovigliati. E Omero invoca la Musa perché lo assista nella stesura del suo racconto. Mentre, lo scrittore africota si affida al suo eroe. Il nonno. Di cui porta il nome. Che gli ha messo un tesoro dentro. Tof, tof. I passi, questa volta, si allontanano. Sono sempre più fiochi, luce di una candela che piano piano si consuma. Stavolta s’allontanano. Ma portano, dentro, una luce profonda. Quella della vita. Quella del profumo del gelsomino.

Intervista

Mia madre mi ha sempre detto che il rispetto lo si deve a tutti, l’affetto a molti, la stima a pochi. E la vita, con il tempo, mi ha detto che le cose è bene dirsele, sempre. Esiste il “quando meno te lo aspetti”, ma esiste, anche, il “è troppo tardi”. E questo tempo non m’appartiene.
Ciao Gioacchino. Sai, ti stimo. Te l’ho già detto, ma, le cose belle, è bene dirsele e ridirsele. Ma è di te che dobbiamo parlare e non di me. Gioacchino, Gioacchino. Non saresti, forse, lo stesso anche con un altro nome? Ma, dimmi, un po’, lo senti tuo questo nome? È un nome importante, il tuo, con un ingombrante passato, con un’indiscussa musicalità … Ti senti Gioacchino? O non hai ancora cucito su di te il tuo nome?

Forse non basta una vita a ritrovarsi nel proprio nome, o la vita è solo una corsa a ritrovare se stesso, a identificarsi in qualcosa di compiuto. E Gioacchino corre, verso una meta sconosciuta.

Giochiamo, ancora, ad un gioco. Il gioco di “e se fossi …” E se fossi altro da un uomo, cosa saresti, Gioacchino? Il tuo libro è intriso di odori, di luci, di sfumature, di riflessi. Diverse istantanee si proiettano tra le pagine, nelle righe, accanto alle parole. Se chiudi gli occhi, respiri e focalizzi un’immagine pensando ai racconti di La maligredi, qual è la prima scena che ti viene in mente?

Sarei lo Zefiro per giocare con le onde dello Jonio. Correrei lungo il piano del promontorio per discendere poi una scogliera verticale e cogliere l’umore che sta nella spuma delle onde. Accarezzerei la sabbia bianca che copre le uova delle tartarughe.

Ci troviamo a vivere un tempo di promettenti scrittori e di fatiscenti lettori. Quali scrittori hanno “iniziato” Criaco alla lettura, consegnandogli, poi, le sacre chiavi della scrittura?

La libertà dei boschi di London e la miseria degli uomini di Strati e l’epica della Canzone d’Aspromonte.

C’è qualcosa per cui vorresti chiedere scusa a Gioacchino Criaco?

Di avere cominciato tardi a pescare nel mare profondo delle sue emozioni.

E se tu dovessi pensare a Gioacchino di cinque anni fa, cosa gli invidieresti e cosa, invece, gli hai perdonato?

Gli invidierei la speranza e gli perdonerei la speranza.

Credi nel destino? Credi nella giustizia? E per chi non crede, più, in niente, cosa può permettere di andare avanti?

Credo nell’amore, nella sua forza alluvionale che è la capacità di inondare tutti gli spazi del cuore.

Ciao Gioacchino. Sai, ti stimo. Te l’ho già detto, ma, le cose belle, è bene dirsele e ridirsele.
Allora, per salutarci, parlami di una cosa bella, per favore, Una di quelle cose a cui t’aggrappi quando senti di dover dormire. Non quando è notte, intendo, ma quando è buio, di giorno. Parlami, Gioacchino, della bellezza delle cose. E, ti prego, non dimenticar quanto ti stimo. Penso al giglio di san Giovanni che l’ultima settimana di giugno spezza il buio dei boschi eremiti.

Cos’è la Maligredi

La Maligredi è un termine con il quale si indica la “brama del lupo quando entra in un recinto, e, invece di mangiarsi la pecora che gli basta per sfamarsi, le scanna tutte. Quando arriva, la maligredi spacca i paesi, le famiglie, fa dei fratelli tanti Caini e avvelena il sangue fino alla settima generazione. È peggio del terremoto, e le case che atterra non c’è mastro buono che sa ricostruirle. A un torto si risponde con la giustizia, che se si lascia sfogare la vendetta diventiamo lupi di noi stessi e ci mettiamo in casa la maledizione”. Nel romanzo dello scrittore africota rappresenta, metaforicamente, con il concetto di la Maligredi una specie di maledizione, che aleggia per tutta la narrazione, che impedisce al paese dell’Aspromonte, Africo, di evolversi e di mutare le proprie condizioni di vita. 

La cornice storica

È il Sessantotto aspromontano (sebbene in pochi lo conoscano, c’è stato!) Periodo storico di presa di consapevolezza, nel quale nasce la speranza di fondare un mondo nuovo, di ottenere diritti: i poveri scoprono di avere bocca e idee; le donne trovano il coraggio di scioperare contro gli gnuri e si legano le une alle altre, di paese in paese, in una sorta di sorellanza del sudore; i figli si rivoltano contro i padri, lo Stato, invece, si mette dalla parte del potere locale, dei malandrini, di coloro che per mantenere i propri privilegi sono pronti ad azzannare alla gola i migliori. E poi ci sono le mamme gelsomino, le donne che di notte raccolgono il delicato fiore e che all’alba tornano in casa per preparare la colazione ai figli ed il loro sudore è misto al profumo dolce delle corolle bianche.

Modelle Fabiola Rossi e Margot
Scrittura ed intervista Fabiola Lacroce
www.facebook.com/fabiola.lacroce.14
Foto Charlie
piergiorgio.greco@rivistaliquida.it

Usciamo dalla “fase 2” – sperando che non ce ne siano altre – e diamo spazio ai nostri Creativi e alle nostre Imprese pubblicando sul Sito/Blog alcuni Servizi usciti nelle precedenti edizioni della Rivista LiQuida su carta. Man mano potrete leggere anche nuovi Servizi in attesa di stampare il prossimo numero.

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